mostra a cura di Elisa Boeri, Luca Cardani
e Davide Del Curto
con Giorgio Bedoni
Tra XVIII e XIX secolo si registra in tutta Europa la nascita di grandiosi e monumentali edifici manicomiali, costruiti secondo principi di contenimento e ordine: spazi concepiti non solo come luoghi di cura ma di controllo, progettati per separare, isolare e persino “correggere” gli individui ritenuti malati di mente e quindi “diversi”. Oggi, a quasi cinquant’anni di distanza dalla Legge 180/1978 (o Legge Basaglia) e la conseguente riforma psichiatrica, siamo chiamati come architetti, storici e studiosi a riflettere sul portato culturale e sociale di questi luoghi, spazi che – prima di cadere in un disuso sistemico che interessa ancora oggi decine di strutture in tutta Italia – hanno rappresentato l’unico orizzonte visivo, spaziale e architettonico di migliaia di internati. La mostra esplora il modo in cui lo spazio di reclusione ha dato forma ad un immaginario architettonico e artistico capace di resistere alle dinamiche di potere dell’istituzione totale. L’atto creativo generatosi all’interno di questi spazi è il risultato di un gesto radicale, una risposta al trauma dell’istituzionalizzazione e alle più ampie stigmatizzazioni sociali che circondano la malattia mentale.